Un utile confronto su Sa Natzione che può farci capire l' importanza strategica della nostra Isola e delle nostre Attività Produttive.

Pubblicato il da totoi fadda

Fonte : Sa Natzione – U.R.N. Sardinnya ONLINE – www.sanatzione.eu

Caro Scanu, sono diversi i punti di vicinanza ma anche quelli di distanza dall’ambiente indipendentista che hanno contrassegnato il suo intervento presso La Nuova del 9 gennaio. Inutile ricordare l’assoluta sintonia su alcuni passaggi da lei esposti, in particolar modo sulla deregulation burocratica che oggi impedisce al nostro tessuto imprenditoriale di decollare, a cui aggiungiamo volentieri l’esoso carico fiscale che si ripercuote pesantemente nella stabilità delle nostre aziende, spesso di piccola e media dimensione. A tale proposito ricordo che proprio la fiscalità di vantaggio è una tematica oggi possibile da sviluppare grazie alla storica azione del sardismo, senza il quale la nostra Autonomia regionale non avrebbe neppure i minimi strumenti di sovranità fiscale che purtroppo la classe politica centralista non ha mai ritenuto opportuno approfondire. E non di rado delegando allo Stato una supplenza nella governance di questa e di altre materie sensibili per i nostri interessi territoriali, al riguardo il politologo Daniele Petrosino parlò di “deprivazione istituzionale”, riferendosi ad una classe politica incapace di esercitare le proprie prerogative, in attesa dell’interventismo statale. In questi termini convengo con lei sulla necessità di ridurre il settore pubblico a favore di una cultura sociale che premi l’imprenditorialità e il valore aggiunto delle nostre eccellenze, separandole così da fenomeni assistenziali che ne rallentano lo sviluppo. Nel nostro futuro pretendiamo meno Stato e più mercato. Ricordiamoci che l’agenzia di rating Fitch ha motivato con la scarsa autonomia fiscale dell’isola rispetto allo Stato il downgrading effettuato negli ultimi anni, mentre l’idea di istituire una Agenzia Sarda delle Entrate è una proposta indipendentista. Dopottuto il tema delle vertenza entrate sul debito fiscale dello Stato con la Regione fu lanciato negli anni ’80 dal sardismo e dall’indipendentismo, sulla base di uno studio della Fondazione Agnelli, e che solo durante la Giunta Soru, oltre venti anni dopo, ha trovato parziale accoglimento. Più articolato invece il discorso sul tema dell’energia e della lingua Sarda, che a mio avviso nel suo intervento sconta i limiti di una superficiale conoscenza delle tematiche autonomiste e indipendentiste attuali. Per quanto riguarda l’ambito energetico bisogna andare oltre una certa visione radicale dell’ambientalismo, ma anche oltre la malsana tentazione di guardare ad uno sviluppo privo di ricadute ambientali. Pensare alla diversificazione energetica oggi significa valutare l’ipotesi di attivare un rigassificatore per ridurre la nostra eccessiva dipendenza dagli idrocarburi, e soprattutto varare un serio piano energetico affinché il settore delle energie rinnovabili sia teso a garantire l’appetibilità del nostro mercato interno, ma evitando altresì che noti gruppi energetici sfruttino il territorio in assenza di reali ricadute economiche per il nostro tessuto civile e commerciale. In prospettiva, il gruppo U.R.N. Sardinnya ha persino proposto una riforma dello Statuto Autonomo per l’avvio di un Antitrust regionale, contro le situazioni di oligopolio, in realtà determinate dalle scelte della sfera pubblica, che oggi influiscono su questo e su altri settori vitali per la nostra economia, fra cui i Trasporti. Da approfondire invece uno strumento di civiltà già presente nella Confederazione Svizzera, e che nel caso delle trivellazioni per la ricerca del gas ci sarebbe di aiuto: il referendum. Se alla classe politica e a quella imprenditoriale spetta il compito di fare delle proposte, ai cittadini, e non alla politica, dovrebbe spettare l’ultima parola.

Per quanto riguarda la lingua sarda sarebbe puerile insistere sulla sua presunta contrapposizione con l’inglese, chi oggi sostiene la lingua Sarda sostiene anche uno sviluppo della conoscenza delle lingue straniere. Attualmente i motivi che sottendono ad una scarsa conoscenza del sardo sono gli stessi dell’inglese, e vanno ricercati nella pretesa omologazione centralistica sinora offerta dalla Pubblica Istruzione di Stato, che ha formato diverse generazioni di Sardi, inclusa la nostra classe dirigente, solo ed esclusivamente in lingua italiana, a fronte di un mercato globale che impone la necessità di uscire dal cortile italiano. Si pensi ad esempio che i Paesi dell’Africa settentrionale hanno una conoscenza media superiore a quella dei nostri studenti nelle maggiori lingue internazionali. Mentre sul versante interno la lingua Sarda ha tre essenziali fattori di utilità: il primo, oggetto di studi da approfondire, sostiene che l’assenza del sardo dalle nostre scuole sia una delle varie cause della dispersione scolastica (dispersione che quindi incide negli scarsi livelli di formazione del nostro futuro tessuto imprenditoriale). Numerosi giovani, omologati ad un insegnamento in italiano, lo avrebbero abbandonato una volta esaurita l’età dell’obbligo. Il trend di dispersione scolastica relazionato alla lingua sembra confermare i dati provenienti dalle Regioni a statuto speciale in cui sono presenti delle minoranze linguistiche, e non solo. Il secondo fattore riguarda l’ambito della pubblica amministrazione: può e dovrebbe operare nei servizi alla collettività solo chi è in grado di rapportarsi con l’utente. Ad esempio in Alto Adige, una “dogana linguistica” consente l’accesso ad operare nei servizi pubblici solo a coloro i quali abbiano conseguito un attestato di plurilinguismo. Il terzo fattore riguarda la sfera dell’identità individuale e sociale dei nostri concittadini. Sviluppare quindi uno standard linguistico sardo significa riaffermare un diritto civile a lungo tempo negato dalle istituzioni italiane, e che i Sardi hanno diritto di riappropriarsi, sia per tramandare l’imponente patrimonio culturale del passato, sia per edificare quello futuro. E naturalmente ciò andrebbe di pari passo con una adeguata formazione scolastica sulla storia e sulla geografia Sarda: impensabile parlare di sviluppo del terziario, soprattutto nel turismo, con studenti che conoscono l’ubicazione del fiume Tevere ma non hanno la più pallida idea di cosa sia un nuraghe. Per fare un esempio banale, notiamo che nel Regno Unito il sito di Stonehenge raccoglie milioni di turisti, al contrario, la Sardegna, con un patrimonio archeologico antico di più complessa fattura, non gode degli stessi flussi turistici. Le ricordo infine che il presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, ha recentemente invitato la classe politica a sviluppare il tema del federalismo come unico strumento in grado di esaltare il valore aggiunto delle comunità locali.

In conclusione, la Confindustria Sarda ha la necessità di uscire dagli antiquati strumenti di lettura offerti dalla politica tradizionale, poiché una sua maggiore autonomia territoriale potrebbe aiutare l’associazione degli industriali a valutare con più beneficio l’approfondimento delle tematiche sovranitarie.

Adriano Bomboi.

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